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IL DESTINO DI UN CAVALIERE
(A KNIGHT'S TALE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 dicembre 2001
 
di Brian Helgeland, con Heath Ledger, Mark Addy, Rufus Sewell, Shannyn Sossamon (Stati Uniti, 2001)
 
Hollywood, si sa, crede alle formule; e di moda va quella dell'anacronismo. Prendi un genere, un'epoca, una situazione, un archetipo e lo trasporti nel tempo. Lo modernizzi; o, al contrario, lo rispedisci nel passato se si tratta di un fenomeno attuale. Niente di rivoluzionario, intendiamoci. Ma, come sempre, importa non tanto cosa, ma come lo fai.

Lo hanno fatto, con esiti spesso esilaranti, i mitici Monty Python; con pretese altrimenti intellettuali e risultati alterni, il Coppola di PEGGY SUE SI E' SPOSATA o il Zemeckis dei vari RITORNO AL FUTURO. Con risultati arguti e spesso raffinati, il Baz Luhrmann di ROMEO E GIULIETTA e del recentissimo MOULIN ROUGE.

Ed è proprio a proposito di quest'ultimo che ci si è riferiti a proposito di IL DESTINO DI UN CAVALIERE. Comodo, non c'è che dire. Perché, è vero che in ambedue i film si è preso un genere cinematografico in disuso e lo si è riproposto in vesti contemporanee (il che non vuol poi dire fare degli sforzi di riflessione estenuanti: musica rock, disco e via dicendo al posto di quella d'epoca, un po' di erotismo più esplicito di quello dei tempi del musical o della cavalleria, ritmi più serrati al montaggio e gag più o meno riuscite basate sull'effetto di spaesamento). Ma il lavoro di Baz Luhrman nel rifacimento dell'epoca del cancan si basav su una professionalità ed una ricerca evidenti, l'ironia di un karaoke digitale alleata agli arrangiamenti travolgenti di una tradizione professionale: con quello di Brian Helgeland siamo al bricolage da avanspettacolo. Oh, certo. Anche da quei palcoscenici scricchiolanti si strappava qualche risata; succede pure con lazzi e facezie di questa novella armata brancaleone che privata dell'indispensabile titolo nobiliare, decide di cimentarsi egualmente in una (troppo) lunga serie di tornei medioevali. Ma basta osservare la differenza nell'uso della musica per misurare la distanza che separa le due operazioni: Helgeland si limita ad incollare la musica in sottofondo, la plebe applaude in ritmo alle musiche di Queen e nel castello si balla il rock. Un novello Mel Gibson poteva magari salvare il film: Heath Ledger sarà un futuro sex-symbol, a me pare soltanto un po' tanto ciolla.


   Il film in Internet (Google)

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